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Da Phnom Penh ad Angkor
di Carmelo
Ciao, mi chiamo Carmelo e l'estate scorsa ho avuto la fortuna di fare un viaggio che non dimenticherò mai per la particolarità dei luoghi, la gente e la storia. La Cambogia è un paese che vale la pena visitare ancora oggi, prima che tutto cambi e venga investita dai flussi turistici di massa che globalizzano ed uniformano tutti i posti, i gusti, le menti...
Ma di tempo ne dovrà ancora passare e questo, in un certo senso, mi dispiace un pò, perchè vorrà dire che il popolo cambogiano continuerà a vivere in condizioni di povertà volute da un governo miope e corrotto che pensa solo ai propri interessi personali.
Io e Silvia siamo partiti il 16 luglio del 2001 da Palermo, destinazione Phnom Penh via Roma e Bangkok (ci siamo fermati anche in Thailandia, Bangkok e Phuket dove io ero già stato anni fa, ma questa è un'altra storia...). Dopo tre giorni nella capitale thailandese, siamo volati a Phnom Penh alle dieci del mattino. L'arrivo all'aeroporto (un'ora o poco più di volo) è annunciato da viste spettacolari di fiumi, laghi ed acquitrini che rivelano "l'acquaticità" di questo paese splendido. E cominci a fantasticare su nomi come Mekong, Tonlè Sap, che evocano lontani ricordi di guerre, marines, agguati nella giungla...
Transfer al centro della città in taxi (7 dollari USA) di venti minuti ed eccoci all'hotel che avevo chiamato il giorno prima da Bangkok: il Dara Reang Sey. Il personale è molto disponibile e "friendly". La camera è piccola, niente di lussuoso, ma molto pulita, con aircon e bagno in camera, il tutto per tredici dollari. Doccia e via, per le strade di PP!!! Il caldo comincia a farsi sentire, feroce ed umido, e cominciamo a capire che l'Europa è lontana... Pochissime auto, sciami di motorini e cyclò, una sorta di risciò a pedali per brevi spostamenti in città. E' la soluzione più economica e divertente, ma anche la più lenta. Un salto al Russian Market dove ci accoglie la venditrice di cavallette, vermi e ragni fritti (enormi)!!!
E' tutto un rincorrersi di colori, odori indefinibili e non sempre gradevoli, ma anche questo ti emoziona...
Uomini e bambini si avvicinano con discrezione e ci chiedono qualche soldo; dopo un pò, ci accorgiamo di quanti siano quelli a cui mancano gambe o braccia e ci torna in mente la storia delle mine sulle quali i cambogiani continuano a saltare per aria. Si parla delle mine in Afghanistan, ma si dimentica che la Cambogia è tuttoggi assediata da otto milioni circa di questi "regalucci" ereditati dai Khmer rossi di Pol Pot...
Polvere, nuvole di polvere, tanta polvere rossa che ti si attacca addosso e ti entra nei polmoni... ti asciughi il viso ed il fazzolettino diventa una sindone...
Via in hotel per una doccia rinfrescante, tanto è a pochi passi. Pranziamo ed usciamo sotto il temporale tropicale che ci accompagnerà per quasi tutto il viaggio. Per fortuna dura solo mezzora, ma basta a trasformare le strade in pantani che consigliano l'uso di scarpe chiuse, e non dà neanche sollievo dal caldo che subito dopo torna più atroce...
Ci rendiamo conto che intorno è tutto un enorme bazar, dove chiunque abbia qualcosa da vendere trova spazio o se lo inventa. Carni, verdure, ortaggi, pesci di fiume, stracci vari, gente che improvvisa barbecues da strada arrostendo ciò che capita...
Ed incrociamo gli occhi nerissimi, profondi, gli sguardi curiosi di chi evidentemente non ha ancora molta dimestichezza con l'occidentale. Ci accorgiamo che non si incontrano molti
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